Juilliard School Building and Alice Tully Hall at Lincoln Center
di Valentina Di Francesco
Percorrendo Wickquasgeck Trail, l’antico sentiero che un tempo conduceva i nativi americani attraverso l’allora lussureggiante isola di Manhattan e che ancora oggi solca il preciso reticolo di isolati ortogonali del centro di New York, si percepisce a fatica, nella distrazione del cammino, come l’antica traccia di un sentiero divenuto col passare dei secoli la celebre Broadway spezzi letteralmente la successione di street e avenue scavando indifferente il suo percorso che da nord a sud intercetta alcuni dei luoghi più importanti della città.
Tuttavia avendo occasione di osservare dall’alto l’insolito andamento si può facilmente notare come l’incontro tra la traccia storica e la città abbia generato in numerosi punti anomalie, vuoti, passaggi, triangoli o affacci laterali su ampie piazze.
Man mano che si percorre la via è possibile osservare come le singole porzioni urbane reagiscano in maniera individuale all’inconveniente; in particolare giungendo a cavallo tra la 65ª e la 66ª, in un punto in cui il segno diagonale si fa più deciso, si incontra un celebre edificio che nell’ultimo decennio ha vissuto una profonda metamorfosi proprio a partire dall’incontro con tale antico percorso.

Si tratta del Juilliard School Building con l’annessa Alice Tully Hall, un edificio costruito nel 1969 che occupa una porzione a nord dell’ampia area, nell’Upper West Side, notoriamente dedicata all’arte e allo spettacolo: il Lincoln Center for the Performing Arts. L’edificio originale, in parte sede della celebre scuola di arti dello spettacolo che dà il nome alla costruzione e in parte sede di una sala concerti la cui edificazione fu totalmente sovvenzionata dall’artista e filantropa Alice Tully è stato per quarant’anni un esempio di architettura brutalista nel centro di New York.
Nel progetto originale l’architetto Pietro Belluschi volle richiudere l’edificio: il mistero delle arti in esso apprese sarebbe rimasto celato nel rigoroso volume rivestito di travertino e comunicato solo nel momento della messa in scena
nel luogo più intimo della costruzione, la Alice Tully Concert Hall. Così come l’interno dell’edificio risultava imperscrutabile anche l’esterno appariva chiuso a eventuali fugaci forme di interazione sia con i passanti, i quali a fatica potevano intuire l’ingresso – posto su un livello rialzato rispetto alla strada e accessibile tramite una scalinata laterale –, sia con un fondamentale elemento urbano come la stessa Broadway. Alla storica via fu preclusa la possibilità di dialogare con la costruzione squadrata in forma di parallelepipedo che fu arretrata all’interno del lotto con il risultato che nel fondamentale punto di incontro con la strada si venne a comporre una piccola piazza triangolare, di semplice passaggio.
Nel 2006, in seguito ad un concorso internazionale nell’ambito del 65th Street Project (un programma di rilancio dell’intero complesso del Lincoln Center) i lavori per il rinnovo del Juilliard School Building sono stati affidati a Diller Scofidio + Renfro, in collaborazione con FXFowle.
Il nuovo progetto, pur non volendo snaturare alcune fondamentali caratteristiche architettoniche del palazzo, ha profondamente scavato in quello che era il celato paesaggio interno dell’edificio trasformandolo in display, spettatrice la città.
Un ruolo notevole nel disegno del progetto è stato affidato all’antica traccia diagonale in base alla quale l’originale parallelepipedo è stato allungato e deformato fino ad incontrare la via e seguirne il percorso con un’intera facciata obliqua totalmente spellata, ovvero svelata dall’assenza del sipario.

In basso, a diretto contatto con l’asfalto, la porzione di lotto triangolare non è più una piazza per il veloce transito pedonale, ma diviene parte stessa dell’edificio, una raccolta area leggermente ribassata rispetto al livello stradale, in immediata comunicazione con l’ambiente interno del foyer grazie alle grandi pareti quasi inconsistenti, uno spazio che invita a fermarsi, sedersi sui gradini esterni e osservare ciò che accade all’interno se non addirittura entrare – “fare ingresso” –, divenendo in prima persona attori della realtà messa in scena per i passanti dietro le vetrate, in uno spazio che, appena oltre la soglia, diviene teatro.
L’intero palazzo da misterioso luogo dell’arte si è trasformato esso stesso in palcoscenico.
La complessità sia architettonica che umana degli ambienti interni viene portata alla luce in facciata: le sale da musica, la stanza del balletto, il foyer del teatro si incontrano incastrandosi dando vita a una sezione bidimensionale, una sorta di scansione che permette al passante di attraversare l’edificio anche con una fuggevole occhiata dal lato opposto della Broadway.
Questa è la sostanza dell’aspetto recitativo del Juilliard School Building nel contesto cittadino della visione: nonostante la probabile fretta del passante non è difficile immaginare che lo sguardo in qualche modo possa essere attratto anche per pochi istanti dal passo di una ballerina o dall’immaginato accordo di un violocello scorto al piano superiore o ancora dal vistoso vestito di una signora in conversazione all’interno del foyer.
La ricerca architettonica di Diller e Scofidio si è sviluppata per anni nell’ambito dei progetti teatrali, delle scenografie, delle installazioni e dei display delle mostre, essi non a caso lavorano sull’edificio esistente cambiando il suo modo di apparire attraverso set di immagini e di corpi in movimento.

L’utilizzo di schermi e specchi che interagiscono con gli attori ricorre dalla piccola scala del palcoscenico all’ampia facciata dell’edificio nel cui ambito i movimenti architettonici, così come le azioni di coloro che agiscono all’interno, sono come coreografie studiate in rapporto al punto di vista esterno dell’osservatore, del pubblico che inquadra, scansiona e mette a fuoco.
Questo è il ricorrente tema del rapporto esternointerno attraverso la parete trasparente
che nell’attività degli autori è stato portato all’estremo attraverso approfondite ricerche e un’ampia serie di declinazioni progettuali, dalle “vetrate digitali” all’interno della Brasserie (NY, 2000) alla “finestra scanner” in movimento di Facsmile (San Francisco 2004). Così, infatti, scrivono Diller e Scofidio a proposito delle possibili reazioni personali in relazione alla parete vetrata: «Lavora con il conforto di sapere di essere sempre sotto osservazione, grazie al primo rivestimento esterno in vetro post-paranoia che permette loro di guardare dentro con la chiarezza della visione notturna 24 ore su 24. Esegui il tuo compito con il conforto di sapere di poterti sempre guardare, grazie al primo rivestimento interno neo-narcisistico che simula la riflessione notturna, in modo che possiate controllarvi mentre gli altri guardano. Controlla con il conforto di sapere di essere sempre perfettamente visibile, grazie al primo rivestimento esterno post-voyeuristico con la trasparenza che, in ogni condizione di luce, ti permette di osservarli mentre loro ti osservano». Il testo è tratto da Fourth Window “Forum”, 38, no.1/2, maggio 1995), dove la “quarta finestra” ha marcatamente il ruolo della quarta parete teatrale, inconsistente diaframma che regola la visione reciproca tra palcoscenico e platea, tra interno ed esterno.

Nel caso specifico del Juilliard School Building grandi scritte poste sulle vetrate interferiscono con l’invisibilità della quarta parete dando un nome alle singole scenografie in sezione: uno sguardo appena più attento potrà leggere qua e là Starr Theatre, Alice Tully Hall, Glorya Kaufman Dance Studio, The Juilliard School Irene Diamond Building in una sorta di cartografia architettonica comprensibile dal punto di vista privilegiato dei passanti più o meno consapevoli che si trovano a percorrere Broadway, la via dello spettacolo, la via per la quale è stata organizzata la messa in scena, l’occasione in situ che ha giustificato estrusioni ed erosioni a svelare fino ad oggi sconosciuti mondi interni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Juilliard School Building and Alice Tully Hall at Lincoln Center
New York, 2009
Elizabeth Diller, Ricardo Scofidio, Charles Renfro
In collaborazione con: FXFowle (Sylvia Smith, Heng-Choong Leong, Mark Nusbaum, Heidi Blau, Peter Pesce)
Con: Benjamin Gilmartin, Anthony Saby, Robert Condon, Gerard Sullivan
Coll.: K. Rice, R. Hehl, F. Gesualdi, F. Tejchman, G. Libedinski, S. Mackinnon, C. Baccarini, S. Gruber, M. Hundsnurscher, K. Karklins, M. A. de Cardenas, B. Mickus, J. Uhl, E. Höweler, F. Ferrer, S. Guivernau
Foto di: Iwan Baan
Articolo pubblicato su Lotus 146
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